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domenica, settembre 20, 2015

Damien Echols... la luce dopo il buio...

E' uscito in Italia il libro denuncia di un innocente che ha passato 18 anni nel braccio della morte, finchè alcune star, tra cui Johnny Depp, non sono riuscite a cambiare un copione che sembrava già scritto.

La recenzione di Federico Rampini. 08.03.2013:
New York. Non mi è mai successo: per quest’intervista ho il trac. Una certa apprensione, un senso d’inquietudine e disagio che sale all’avvicinarsi dell’appuntamento. Ne ho fatte tante ormai, anche avventurose o strane. Questa però è la prima volta che intervisto uno uscito dal braccio della morte. Un condannato alla pena capitale per l’efferata uccisione di tre bambini. Che si è fatto 18 anni in carcere nell’attesa dell’esecuzione. Pestato dalle guardie, o sbattuto in cella d’isolamento, o circondato da altri condannati a morte spesso completamente impazziti. Mi rassicura un fatto: lui è innocente. Nel liberarlo, meno di due anni fa, lo Stato dell’Arkansas ha “implicitamente” riconosciuto che non aveva commesso il fatto. La sua storia è feroce, la sua sopravvivenza un vero miracolo.
A 38 anni, Damien Echols è scampato a un orrendo errore giudiziario, che ne ha fatto una “cavia”per tutte le perversioni, la ferocia del sistema carcerario americano. Lui viene arrestato nel 1993 nell’Arkansas, accusato con altri due ragazzi dell’omicidio di tre bambini. Per la polizia di West Memphis – che ricorda l’ottusa crudeltà di alcune scene del film Easy Rider - lui è il bersaglio ideale. White trash, spazzatura bianca, Echols viene da una famiglia poverissima del profondo Sud, marginali condannati alla disperazione (da bambino cresce in mezzo agli alcolisti, in una capanna senza luce né acqua corrente). In più è un eccentrico, solitario e dal carattere cupo, veste alla moda dark, s’interessa di occultismo e musica heavy metal.
In un clima di isteria collettiva, tra false testimonianze e “prove” inverosimili, i suoi due compagni sono condannati all’ergastolo. Lui si merita la pena capitale perché considerato il capo del gruppo, soprannominato i tre di West Memphis. La condanna di Echols attira l’attenzione di alcuni artisti: il musicista Eddie Vedder dei Pearl Jam, l’attore Johnny Depp, il regista del Signore degli anelli Peter Jackson.
Nasce un movimento per ottenere la revisione del processo, due documentari ricostruiscono l’ingiustizia (Paradise Lost del 1996, West of Memphis presentato al festival Sundance l’anno scorso). Lui resiste convertendosi al buddismo zen, sposandosi in carcere con Lorri. Leggendo. Scrivendo: questo libro affascinante, Il buio dietro di me ( uscito in Italia da Einaudi, pp. 300, euro 18,00 ). Dove c’è la sua storia e molto di più: una denuncia implacabile dell’universo penitenziario; una magica testimonianza della sua voglia di vivere. Ed eccolo qui, davanti a me. Che sollievo. Appena varca la soglia di casa mia mi rilasso. Damien Echols, incredibilmente, sembra un uomo sereno. Le ferite che la vita gli ha inflitto e che racconta nel libro, non ne hanno fatto un prigioniero. Tutt’altro. C’è qualcosa di entusiasmante in questa storia.
Leggi l'intervista....

Le sue vicissitudini con la giustizia non sono veramente finite. Per non esporsi alla richiesta di danni, lo Stato dell’Arkansas le ha riservato un’ultima perfidia. Lei è stato liberato usando un cavillo rarissimo, sconosciuto a molti americani, che consente di non ammettere l’errore giudiziario.
“È così, sono innocente ma per uscire dal braccio della morte i miei legali hanno dovuto sottoscrivere una sorta di dichiarazione di colpevolezza. E adesso altri Stati stanno copiando l’Arkansas per districarsi dai loro errori giudiziari a poco prezzo. Ma noi vogliamo andare avanti, fino alla fine. Il pluriomicidio per il quale io fui condannato ha un colpevole vero, e lui deve pagare. La polizia aveva una montagna di prove a carico del padre adottivo di quei bambini, prove ignorate e talvolta distrutte. In quanto a me, avendomi liberato senza dichiararmi innocente, mi hanno gettato per la strada senza un centesimo, senza un vestito. Mi sono ritrovato fuori dal carcere come un profugo”.
Eppure il suo libro colpisce più per la serenità che comunica…
“Non ho voluto sfruttare la curiosità morbosa dei miei concittadini. Gli americani sono ossessionati con le vicende criminali, hanno interi canali televisivi specializzati su queste storie. C’è qualcosa di patologico, come negli automobilisti che rallentano vicino a un grave incidente sperando di vedere vittime e sangue. Io nel libro racconto una vita, non un caso giudiziario. Non voglio deprimere il lettore ma ispirarlo. Non voglio pensiate che siamo senza speranza. La mia storia dimostra che si può trovare bellezza, amore e magia anche nella situazione più orrida”.
Lei è un autodidatta puro, in carcere è diventato un lettore insaziabile. Ha uno scrittore che considera il suo modello?
“Stephen King. Alcuni suoi libri li ho letti anche venti volte. Da ragazzo non ho finito neanche il liceo, a casa mia non c’erano libri e neppure la tv. Ma appena ho scoperto Stephen King mi sono riconosciuto nella sua voce. Lui scrive romanzi, io racconto una storia vera, ma la voce è quella. Mia moglie mi ha fatto scoprire tanti altri autori, da Cortázar a Dostoevskij a Freud, ho letto tutti i libri che lei mi mandava in carcere. Alla fine torno sempre a Stephen King”.
Cosa pensa del dibattito sulle armi, con le enormi resistenze contro nuove regole, malgrado la strage di Newtown?
“È una follia. Se gli americani si battessero con la metà di questa foga per difendere i loro altri diritti oltre a quello di detenere armi, in questo paese staremmo tutti molto meglio. Le armi servono solo a fare soffrire. Quelle sacche di America profonda che sono più legate alla cultura delle armi, io le conosco bene: è la stessa America che voleva ammazzare me”.
La pena di morte sarà mai abolita?
“Sì, per motivi economici, non umanitari. Sta trascinando verso la bancarotta alcuni sistemi giudiziari locali. Con il contenzioso dei ricorsi che si trascina dietro, costa troppo. Ed è totalmente abritraria: per lo stesso crimine puoi finire nel braccio della morte se il giorno del tuo arresto non c’erano altre notizie forti al telegiornale, e il pubblico ministero vede l’opportunità di farsi pubblicità con il tuo caso. Se quel giorno crolla la Borsa, la notizia del crimine scompare, e l’accusa non ha interesse a infierire su di te”.
La sua principale critica al sistema carcerario?
“Ci ho passato quasi vent’anni della mia vita e non ho mai visto il minimo sforzo di riabilitazione, rieducazione. È costruito solo per punire. Chi sta nelle celle d’isolamento subisce violenze atroci, torture come la privazione del sonno, eppure tutti sanno che un giorno molti detenuti torneranno a piede libero. Voi li incontrerete nel vostro quartiere, nel vostro supermercato. Non è un’idea geniale, quella di farli impazzire in carcere. Gli Stati Uniti hanno il 5% della popolazione mondiale ma il 25% della popolazione mondiale di detenuti. In certi casi è un business, con forme di sfruttamento schiavistico della forza lavoro dietro le sbarre”.
Il buddismo l’ha aiutata? Com’è avvenuta la sua conversione?
“Nei primi anni in carcere ero furioso e basta, mi alzavo ogni mattina esasperato. E così l’inferno esterno che mi veniva inflitto, si trasformava in un inferno anche interiore. Questa è la fine che fanno molti detenuti: vengono divorati vivi dall’esperienza, trasformati in relitti umani. Mi avvicinai al buddismo dopo tre anni, grazie a un altro detenuto che veniva visitato regolarmente dal suo padre spirituale, un sacerdote zen. Io stesso sono stato ordinato sacerdote buddista di rito giapponese. Poi ricevetti le visite anche di una donna, buddista tibetana: le guardie fecero di tutto per scoraggiarla, per renderle la vita impossibile. Io presi l’abitudine di un’ora di meditazione al giorno. Là dentro, per me divenne anche l’unica terapia di cui disponevo per curarmi”.
Per il lettore italiano c’è una curiosità in più: la sua ammirazione verso i Medici.
“Dopo aver studiato psicologia, sociologia (volevo capire i miei carnefici e come avessero potuto infierire contro di me senza perdere un’ora di sonno) la mia vera passione divenne la storia dell’arte. Lorenzo il Magnifico, Cosimo de’ Medici, che personaggi!”.

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by giorno26 ღ