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domenica, maggio 13, 2007

My way

" Diceva Eraclito, piu' di duemila anni fa', che non ci si bagna mai due volte nella stessa acqua di un fiume. Dicevano i Greci sempre piu' di duemila anni fa' che l’ "adunaton", l’impossibile per eccellenza, e' che cio' che e' avvenuto possa non essere avvenuto. Ogni nostro istante non e' mai uguale all’altro e noi non siamo mai gli stessi da un istante all’altro, da un tempo all’altro. Tutto cambia dentro e fuori di noi anche se non sempre riusciamo a percepire questo continuo cambiamento. La cosa piu' appariscente di noi, il nostro corpo, da un istante all’altro e' sempre diverso e noi viviamo in questa continua diversita' e di questa continua diversita'. In noi nasce e muore qualcosa in ogni momento della nostra esistenza ed in ogni momento noi non siamo piu' quello che eravamo un momento prima, il nostro corpo e' cambiato, la nostra mente e' cambiata, il nostro pensiero e' un altro pensiero che lo si voglia o no. Perdiamo cellule del nostro corpo perdiamo neuroni del nostro cervello che non torneranno mai piu', perdiamo ricordi sommersi da altri continuamente sorgenti che si sovrappongono pronti anch’essi a sparire nel nulla, nel vuoto della nostra memoria e gli stessi che crediamo di conservare sono diversi da un momento all’altro. Per quanto grande sia quello che noi chiamiamo memoria, essa non mai capace di trattenere fermare per un attimo il nostro continuo divenire. Tutti gli eventi sono continuamente mutevoli come il paesaggio che ci corre via veloce da un finestrino di un treno e del quale ben poco riusciamo a trattenere. Un po' di anni fa' ne ebbi questa precisa sensazione in un particolare momento. Mi trovavo un giorno in montagna ed era verso il tramonto. Avevo lasciato la via asfaltata e mi ero addentrata a piedi in un sentiero appena segnato in una fitta vegetazione per cercare le rive di un fiume che non doveva essere molto distante. Non c’era nessun motivo per farlo se non la curiosita' di vedere qualcosa che supponevo ci fosse, qualcosa che era semplicemente un fiume, un fiume come un altro, come tanti altri fiumi. Ma volevo vedere proprio quello. Dopo un tortuoso percorso del sentiero in un mondo di ombre sempre pi fitto, nel silenzio profondo che spesso precede il calare del sole, arrivai improvvisamente sulla riva fra la fitta vegetazione, uscendo nella luce. Non c’era neppure la sponda del fiume perche' le piante sorgevano dall’acqua nascondendola completamente e dovetti attaccarmi ad un piccolo albero per non scivolare. La corrente era veloce, molto veloce e l’acqua di color grigio cupo come il cielo che si rispecchiava, si frangeva in superficie in un infinita' di sottili rivoli che intrecciandosi fra loro, componendosi e ricomponendosi in mille modi, creavano una serie di disegni in continua mutazione che l’occhio percepiva ed immediatamente perdeva senza possibilit di fermarne uno, di individuarlo e ricordarlo. Un silenzio assoluto, Il moto stesso dell’acqua non produceva neppure un leggero fruscio. Gli uccelli che fino a pochi istanti prima mi avevano accompagnato con il loro canto ora tacevano. Non so quanto tempo sono rimasta la', forse un secondo o forse un’ora. In quegli istanti guardavo l’immobilit del moto e questa espressione contraddittoria solo in apparenza, mi ha accompagnato poi per tutti gli anni seguenti e l’immagine piu' vera dell’immobilita' del moto che non oso chiamare eterno perche' ancora non ho compreso il significato di questa parola. Ma mentre, attaccata al mio albero, quasi sospesa sull’acqua che fuggiva via dai miei sensi verso una dimensione irraggiungibile, improvvisamente alle mie spalle il tempo irruppe con la violenza della sua inesorabilita', con il suo verbo, con il suo suono, riempiendo anche gli angoli piu' nascosti della boscaglia ma anche le mie fibre piu' interne. Il suono di una enorme campana invisibile era esploso improvviso e le vibrazioni si propagavano attorno e si prolungavano verso un tempo ed uno spazio inesauribile ed indefinibile senza direzione. Non sapevo che era una campana, una enorme campana di bronzo che avrei trovato di li' a poco sulla via del ritorno e che percossa con una grossa mazza di legno emanava quel suono basso e profondo che vibrava a lungo nel bosco. Lungo il sentiero del ritorno c’era una tettoia nascosta nel folto della vegetazione, costruita con grossi tronchi che sorreggevano la grande campana e ne sopportavano il peso. Era li' da gran tempo e chi passava poteva far risuonare il suo richiamo. Provai anch’io ed ascoltai il suono che si diffondeva ed espandeva, sommergendo come una ondata tutto attorno e provai ad immaginare verso chi quel mio messaggio fosse diretto nel e fuori del tempo."

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by giorno26 ღ